Si tratta infatti di emissioni generaliste, cioè utilizzabili per ragioni di capitale, di cassa o quant’altro, quindi anche per compensare potenziali rischi e perdite. La cosiddetta finanza sostenibile fino a qualche tempo fa si basava essenzialmente sulla possibilità di emettere bond, oppure fare debito con finanziamenti bancari, ma secondo le indicazioni le linee guida dell’ICMA. Queste indicazioni prevedevano che un green bond, per fare un esempio concreto, potesse essere emesso seguendo alcune regole di fondo: la prima era quella di individuare uno più progetti che fossero effettivamente green oppure sostenibili, per cui l’emissione doveva essere espressamente legata al finanziamento di progetti specifici. La seconda regola di base è che questi proventi derivanti dalla emissione venissero segregati, ovvero trattati separatamente e destinati esclusivamente a quei progetti pre-identificati e comunicati agli investitori.

La terza regola di fondo era l’obbligo di rendicontazione specifica. Infine un quarto aspetto molto importante, era l’esibizione di una qualche forma di controllo esterno di varia intensità: dalla cosiddetta external review, una asseverazione circa la corretta applicazione delle regole da pubblicarsi solo in fase di emissione, fino ad un vero e proprio rating attivo per la durata dell’emissione. Le regole ICMA, nel 2020, sono state poi allargate per accogliere anche le obbligazioni ESG-linked. Frutto delle esperienze nata dal mercato e spesso legata alle esigenze di cassa di grandi emittenti. Le obbligazioni ESG-linked non sono circoscritte e destinate a finanziare uno o più progetti già pre-identificati, ma sono obbligazioni generaliste, ovvero i proventi vanno nelle casse dell’azienda ad alimentarne la liquidità e la gestione anche ordinaria, inclusa la possibilità di alleggerire o appianare eventuali perdite.

Nel caso delle obbligazioni ESG-linked, l’impegno verso il sottoscrittore dell’obbligazione non è di un uso sostenibile o predeterminato del capitale raccolto, ma è diverso: l’emittente indentifica a suo piacimento alcuni target verdi o di sostenibilità da raggiungere e quindi si impegna a raggiungerli, attribuendosi una forma di penale sulla cedola e gli interessi da pagare, qualora non li raggiungesse. Si tratta quindi di un titolo radicalmente diverso dal green bond: risulta una specie di strumento che aumenta il rischio per stimolare il raggiungimento di alcuni obbiettivi che comunque l’azienda si sarebbe data.

I proventi poi, potrebbero finanziare anche attività non sostenibili. Secondo l’Autorità bancaria, i temi critici sono vari e legati appunto alla rischiosità. La più importante sembra essere l’uso di commissioni cosiddette step-up per gli emittenti che mancano gli obiettivi di sostenibilità. Secondo l’Eba, ciò ‘non dovrebbe essere consentito o incoraggiato’ perché rende meno stabile l’emissione nella sua durata e nelle sue caratteristiche con possibili rischi anche circa il costo e la struttura del debito dell’emittente. Quindi, il costo del debito delle banche non dovrebbe dipendere anche da rischi aggiuntivi che la banca somma a quelli che già ha normalmente. La struttura del debito deve ridurre complessità inutili. D’altronde la nota riflette le modifiche sui requisiti patrimoniali (CRR2) ed avviene nel contesto del monitoraggio EBA degli strumenti Additional Tier 1. Un’altra preoccupazione che sembra trasparire è la promessa di sostenibilità che apparirebbe poco definita. Ma è un tema presente da diverso tempo.

Nel dicembre 2019, l’agenzia europea di rating di sostenibilità Esg, Standard Ethics, aveva declassato il rating di sostenibilità di Enel quando lanciò il suo General Purpose SDG Linked Bond (e si trattava di uno dei primissimi casi in cui veniva usato questo strumento). Nel comunicato di SE, veniva allora specificato che a causa della emissione ‘il perimetro e la tipologia dei rischi ESG e di quelli reputazionali di Enel è mutato.’ Più precisamente, che ‘La scelta di legare il rendimento della emissione obbligazionaria ‘General Purpose SDG Linked Bond’ a degli obbiettivi extra-finanziari come gli SDG, determina una caratteristica nella remunerazione del capitale, ma – per scelta – non circoscrive l’uso che viene fatto del capitale raccolto’ e viene destinato all’intera attività aziendale. Ma più importante, il capitale così raccolto implica una promessa di sostenibilità con una promessa di sostenibilità che estende il perimero dei rischi ESG\”.

Infatti, secondo Standard Ethics, che sembra allineata alle tesi di Eba, ‘un potenziale evento controverso () potrebbe indurre un obbligazionista a giudicare il proprio investimento non rispondente alla promessa iniziale di sostenibilità’, anche e ‘indipendentemente dal raggiungimento dei target/Kpi usati per determinare gli interessi corrisposti’. Ora a fare maggiore chiarezza sul tema è intervenuta l’Eba.

FONTE: www.milanofinanza.it